“Si pi San Michele la racina è comu lu mele, pi San Martinu ogni mustu addiventa vinu”.
In Sicilia il giorno di San Martino chiude l’estate senza fine dei siciliani che spessissimo si prolunga fino ai primi 15 giorni di novembre e per quell’occasione si gusta il vino della nuova annata.
In una cronaca dello Statuto di Palermo del 12 novembre 1876 si registra l’uso del Moscato, dei biscotti di rito e del tacchino sulle tavole dei notabili.
Martino è stato definito il patrono degli “estimatori del buon bere” che affollavano le “taverne” delle città siciliane, specialmente a Palermo dove durante solenni banchetti, oltre il tacchino, si gustavano verdure cotte come: “vruocculi” e uova sode.
Non mancava mai a fine pasto “u viscottu i San Martinu abbagnatu nn’o Muscatu” (il biscotto di San Martino inzuppato nel vino Moscato).
Tale biscotto veniva e viene preparato ancora oggi con farina impastata con il latte e semi di anice che conferiscono alla preparazione un profumo particolare ed inconfondibile.
Di tale biscotto siciliano ne esistono due versioni, uno impreziosito da confettini e fiorellini di zucchero, ripieno di crema o marmellata ed un altro semplice chiamato anche “tricotto” perché fatto cuocere tre volte, in passato dato ai bambini durante la dentizione.